Da quasi tre anni è in atto un’operazione collettiva di peer-to-peer che potremmo definire affascinante. L’idea è venuta all’architetto e artista berlinese Aram Bartholl, che durante una visita a New York nel 2010 ha murato cinque chiavette USB da 1 GB in altrettante location della Grande Mela: all’interno delle chiavette c’erano musica, immagini, video. Chiunque avesse un portatile avrebbe potuto collegarsi e scaricare (o caricare) il materiale, contribuendo di fatto alla diffusione e all’evoluzione di una sorta di condivisione “geolocalizzata” (contrapposta a quella virtuale e globale di eMule e torrent) nei luoghi del mondo.
Bartholl ha chiamato il progetto Dead Drops onore dell’omonimo metodo di passaggio di dati adottato dalle spie che, per non farsi rintracciare e non essere costrette ad incontrarsi, lasciavano le informazioni in un luogo segreto condiviso con il ricevente dei dati.
Sono bastati alcuni post sul blog e un video di how-to che insegnasse come murare le chiavette con facilità, e la mania delle Dead Drops è esplosa: oggi se ne contano 1104 in tutto il mondo, per un totale di quasi 5000 GB di dati anonimi e pressoché sconosciuti, ma liberamente condivisi da chiunque sia a conoscenza del progetto. La mappa è fitta di USB, soprattutto in Germania, Francia e Stati Uniti: ma ce ne sono poco meno di 50 anche in Italia, da Milano a Napoli e da Venezia a Torino, isole comprese.
Certo, le proteste non sono mancate: chiunque può accedere alle chiavette per distruggerle o, peggio ancora, infettarle con qualche virus e mettere a repentaglio gli hard disk altrui. Ma il fascino del progetto è innegabile, come straordinaria dev’essere la sorpresa di trovarsi di fronte ad un USB che fa capolino tra un mattone e l’altro in un punto qualunque delle nostre città.